diumenge, de novembre 04, 2012

La CE esorta Mas e Rajoy a trattare su come dovrebbe essere uno stato catalano. (COL·LECTIU EMMA, 04-11-2012)

Bruxelles nega che l’indipendenza possa lasciare la Catalogna fuori dall’UE e non si pronuncerà al riguardo fino a quando non avvenga o Madrid non lo chieda. Invita a negoziare la ripartizione del debito, gli europarlamentari ed i voti in Consiglio. Lo Stato approfitta che Reding è in campagna per far-le smentire le dichiarazioni. Non bastano la manifestazione, la maggioranza nei sondaggi né le promesse elettorali, la Commissione Europea vuole voti e fatti in sede parlamentare prima di esprimersi sull’indipendenza della Catalogna. Bruxelles evita di pronunciarsi e tenta di mantenere la neutralità, ma non ci riesce, s'impappina e ieri ha fatto una figuraccia. Il tentativo del governo spagnolo e della stampa di forzare l’esecutivo europeo a minacciare i catalani con l’espulsione dall’UE è finito con il portavoce di José Manuel Durao Barroso chiedendo a Mariano Rajoy e Artur Mas che trattino una secessione amichevole. “Dovrebbero negoziare come dividersi il debito pubblico, il numero di deputati che avrebbe la nuova Spagna e quanti ne avrebbe lo stato catalano, i voti al Consiglio, la rappresentazione nella BCE, gli euro-commissari e quale sarebbe la lingua officiale”, hanno chiarito fonti dell’esecutivo europeo. E, tutto l’insieme, dovrebbe essere introdotto in una modifica del Trattato Europeo, che dovrebbero approvare i 27. Se non ci fosse accordo e l’esecutivo del PP dovesse rifiutare di seguire la via del premier britannico, David Cameron, Bruxelles dovrà dare il proprio “parere legale”, ma solo se Madrid glielo chiede ufficialmente oppure se la secessione unilaterale avviene. Approfittando che l'euro-commissaria Viviane Reding è in campagna per prendere la poltrona di Barroso e, che in futuro avrà bisogno del supporto del governo spagnolo, il PP l'ha costretta a smentire ed a scusarsi per aver riconosciuto che nessuna legge dice che la Catalogna indipendente resterebbe fuori dal club. Il segretario di stato spagnolo per l’Unione, Íñigo Méndez de Vigo, ha reso pubblica una lettera nella quale l’amica lussemburghese presumibilmente li dà ragione e difende l’opposto, anche se il portavoce comunitario, Olivier Bailly, lo nega: “Io non ci leggo questo”, ha messo in guardia, smentendo l’interpretazione che ne fa l’esecutivo di Rajoy, e cioè, che la Catalogna dovrebbe chiedere l’ingresso nell’UE e che Madrid potrebbe porre il veto. La commissione, di fatto, ieri non aveva chiaro neanche se la lettera della Reding era a titolo personale o come vicepresidente di Barroso. E i suoi giuristi, silenziati dalla pressione della diplomazia spagnola, argomentano che i catalani non possono perdere da un giorno all’altro i loro diritti e doveri come cittadini europei. Lo stesso euro-commissario Joaquín Almunia ha riconosciuto che “non è onesto dire in forma contundente” che lo stato catalano resterebbe fuori dall’UE, “la questione non è bianca o nera”. Il capo della diplomazia spagnola, José Manuel García Margallo, non crede “che la Spagna debba esercitare il proprio veto”, perché è “convinto” che l’indipendenza “non avverrà”. Malgrado ciò, era convinto che, se lo dovesse fare, la Spagna non resterebbe da sola. “Sarebbe vetata (la Catalogna) dalla Spagna, dai 5 stati che non riconoscono il Kosovo e da molti altri che credono che una implosione dell’UE non è una buona notizia in un momento in cui ci stiamo integrando dal punto di vista bancario”, ha sentenziato.